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La maternità è un'opportunità, non un destino

 Intervista a Silvia Vegetti Finzi sul blog La 27ora 
di Francesca Balboni

Nel corso dei mesi di ottobre e novembre la 27ora ha realizzato una serie di incontri sul Disegno di Legge n. 735, Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità, detto DDL Pillon. Il Disegno di Legge è stato molto contestato e ne è stato richiesto il ritiro perché ritenuto principalmente contrario agli interessi dei bambini. Per comprendere alcuni aspetti del Disegno di Legge che coinvolgono anche la sfera psicologica dei bambini è fondamentale interrogarsi, dando la parola a chi ha dedicato la propria vita professionale ad analizzare le dinamiche interiori dei più piccoli. E forse è giusto ampliare lo sguardo riflettendo sul tema della famiglia e della maternità ai giorni nostri. Ho incontrato a Milano, per porgerle alcune domande, Silvia Vegetti Finzi, una tra le più sensibili e autorevoli studiose dei temi della famiglia e del mondo dell’età evolutiva. Scrittrice, già docente di Psicologia Dinamica all’Università di Pavia, una delle fondatrici della Consulta Bioetica, editorialista di numerosi articoli e interventi su rubriche di divulgazione e consultazione psicologica e titolare di numerosi riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale, madre e nonna di tre nipoti. Tra i suoi numerosi scritti ricordiamo gli ultimi libri Una bambina senza stella. Le risorse segrete dell’infanzia per superare le difficoltà della vita e L’ospite più atteso. Vivere e rivivere le emozioni della maternità.
Il Disegno di Legge, prima ancora di affrontare le questioni cruciali che una separazione comporta, comincia prospettando l’obbligatorietà della mediazione tra i coniugi che si stanno separando. Tale mediazione sarebbe, fra l’altro, economicamente a carico dei genitori, imponendosi quindi in un periodo che nella maggior parte dei casi ha dei risvolti economici pesanti. Nell’incontro del 30 ottobre scorso organizzato dalla 27ora presso il cinema Anteo di Milano, l’associazione GEA, Genitori Ancora, che opera nell’ambito della mediazione, si è chiaramente espressa sulla validità della mediazione solo ed esclusivamente qualora sia volontariamente richiesta da entrambi i genitori. In caso contrario potrebbe determinare situazioni di maggiore conflittualità, in particolare in presenza di sospetti rapporti aggressivi da parte del partner. Pensa che imporre una mediazione a una coppia in fase di separazione, soprattutto in caso di forte conflittualità, sia corretto?
«La mediazione può essere utile ma assolutamente non può essere imposta. Deve corrispondere a una richiesta, a una disponibilità d’animo, ci vuole disponibilità al dialogo, a mettere in crisi le proprie sicurezze. Non ha senso che sia imposta per legge, anche perché omologa situazioni familiari molto diverse fra loro. Ogni coppia separata è diversa dalle altre, una legge che riguarda la famiglia deve essere orientativa, deve entrare nello specifico con molta prudenza e sensibilità».
Nel disegno di legge si auspica, inoltre, una precisa suddivisione a metà della gestione dei figli da parte dei genitori separati, con tale suddivisione anche per quanto riguarda il mantenimento economico. Professoressa, senza voler entrare nel merito della complicata materia legislativa, pensa che sia corretto imporre a dei bambini una simile condizione? 
«Il bambino ha bisogno di stabilità e di continuità, il bambino è un conservatore, ha bisogno di avere le sue abitudini. E’ molto importante lo spazio, la continuità dello spazio e del tempo. Non possiamo pensare che un bambino possa vivere una settimana col padre e una settimana con la madre, magari in due quartieri differenti. La scuola è una, gli amici sono quelli del quartiere che corrisponde a tutto il mondo che conoscono e che dominano. Non può essere trasportato per legislazione. Non c’è la minima attenzione per l’esperienza e la vita dei bambini, sembra che nessuno li abbia mai conosciuti. Ci sono secoli di studi e di esperienza su questo tema. Io ho tre nipoti, di cui due adolescenti, sono già sufficientemente sbadati e confusionari, sono ragazzi assolutamente normali ma tutti sappiamo che i bambini e anche gli adolescenti vanno sostenuti anche nella gestione della vita quotidiana. Per quanto riguarda il mantenimento diretto, le situazioni lavorative, economiche e finanziarie di madre e padre non sono uguali. Le donne, per avere avuto dei figli, vengono penalizzate e ostacolate nel loro lavoro, sia in termini di minore disponibilità all’assunzione, sia durante tutto il percorso di carriera . La madre lavoratrice, spesso, si trova messa da parte, magari per aver chiesto il mezzo tempo o per aver chiesto permessi speciali per accudire un figlio malato ad esempio. Nella maggior parte dei casi, gli impegni familiari condizionano in termini quantitativi e qualitativi e sappiamo che ciò non riguarda in egual misura padri e madri. Sappiamo, inoltre, che gli stipendi sono impari. Non bisogna confondere quello che è un ideale morale, cioè di collaborazione paritetica, con una giurisdizione con obbligo di tipo coercitivo».All’interno del disegno di legge non si fa alcun riferimento alle differenti necessità che un bambino può avere a seconda della sua età. Ritiene sia corretto che una legge che tende a normare la vita di bambini che vivono una situazione di fragilità come quella causata da una separazione dei genitori, non faccia minimamente riferimento al ruolo esclusivo che una madre ha nella vita di un bambino piccolo? 
«La psicanalisi e la psicologia evolutiva hanno messo in luce l’importanza dell’attaccamento materno. Il rapporto con la madre è fatto anche di carne, di presenza, di latte, di tepore, di guancia a guancia, per questo i due ruoli genitoriali non possono essere equiparati. Sappiamo che la relazione tra madre e figlio, anche durante la gravidanza, ha un’importanza psicologica affettiva ed emotiva fondamentale. Questa vicinanza profonda non può essere ignorata ma non dovrebbe essere esclusiva. Le madri, infatti, non devono essere lasciate sole, devono essere aiutate e sostenute, se possibile, da una figura maschile. Il padre è importante ed è tale se è riconosciuto dalla madre, non è un diritto astratto. La caratteristica di una madre è il pensiero costante ai figli anche quando lavora. Durante il giorno, anche quando è fuori casa, pensa sempre al figlio che deve mangiare, che deve andare a scuola, deve fare i compiti. Non è sempre lo stesso per i padri. E nelle separazioni sono di solito le madri che stanno coi figli proprio perché nella maggior parte dei casi sono loro che hanno la mente rivolta alle loro necessità. Tuttavia per i figli è importante salvaguardare, anche nei casi di separazione, per quanto possibile, la figura paterna. Questo è chiaramente un invito, un’esortazione, ma non può essere un obbligo perché i padri questa posizione se la devono meritare, nulla è scontato. Favorire il rapporto genitoriale, anche quando quello coniugale viene meno, senza imporre un eguaglianza assoluta, che è del tutto astratta, dovrebbe costituire elemento di riflessione nei casi di separazione».
Ci si chiede perché in Italia, dove nascono meno bambini che negli altri paesi dell’Europa ad economia avanzata (in Italia il tasso di fecondità è di 1,4 mentre in Francia è di 2 bambini per donna) e dove le politiche per la famiglia vedono una spesa che è quasi la metà rispetto a quella di Germania e Francia, non vi sia alcuna progettualità di sostegno alla famiglia, mentre si dedicano energie per mettere in discussione leggi esistenti in tema di separazione. I dati economici, fra l’altro, esprimono chiaramente uno stallo che certamente non favorisce la progettualità familiare e soprattutto procreativa, determinando un circolo vizioso nel quale, se non nascono bambini per mancanza di fiducia nel futuro, non è possibile mantenere in equilibrio una popolazione e quindi la sua economia. Cosa ne pensa quando da parte di una classe politica manca l’attenzione alle esigenze della famiglia e non si da la giusta importanza all’urgenza di creare fondamentali servizi di supporto per i genitori e per i loro bambini? Non pensa che nella maggior parte dei casi, quando una coppia si separa ciò avvenga proprio per una difficoltà nella gestione dei tempi di vita e di lavoro di entrambi i genitori? 
«Questa denatalità, che pone l’Italia ai primi posti al mondo in termini di mancate nascite, di decrescita della popolazione, è un problema che riguarda certamente la scarsità del lavoro e dei servizi per l’infanzia, il problema dell’abitazione e delle difficoltà nei rapporti tra i sessi. Tuttavia spesso si trascura completamente il fatto che è anche un problema psicologico. Di fatto la coppia che vuole fare famiglia non viene sostenuta. Nessuno si chiede quale modello di famiglia vogliamo proporre alle giovani generazioni. Qual è l’utopia. Non credo sia ‘raggiungibile’ la famiglia ideale, però dobbiamo sapere che cos’è desiderabile, non lasciarlo alla dispersione di altre cose, col rischio che la parte procreativa, non intendo riproduttiva, ma proprio procreativa, venga abbandonata ai margini della pensabilità e della riflessione, tacendo gli aspetti di creatività, di bellezza, di felicità, che hanno una ricaduta molto premiante sul destino delle persone. Sembra invece che tutto debba avvenire come se questa parte dell’esistenza umana dovesse andare da sé, come se non fosse degna di riflessione e di condivisione. Un discorso collettivo sulla maternità, ad esempio, non è mai stato fatto. Ci vuole un’educazione a come si convive, a come si può convivere, perché non è facile e spesso ci si dimentica della psicologia dei bambini».
Ritiene che si sia persa una ‘narrazione’ della maternità? 
«La maternità è sempre vista in un certo senso come regressiva, come se si trattasse di respingere l’emancipazione femminile nei recinti della tradizione paternalistica, nella tradizione patriarcale. Ma quale famiglia deve sorgere nel futuro? Oltre a una resistenza rispetto alla famiglia tradizionale ci deve essere un desiderio di immaginare che tipo di famiglia vogliamo. Una cosa certa è che le madri non devono essere lasciate sole, vanno sostenute economicamente e psicologicamente. Molte volte si trovano in situazioni di grande solitudine e la società deve saperle ascoltare e sostenere. Un esempio tra tanti: si dice alle donne di allattare ma se poi non gli si da assistenza e supporto rendendolo possibile gli si propone una sollecitazione contraddittoria. Narrare una dimensione della vita come quella della maternità, con tutte le sue contraddizioni, è importante. Io ho provato a farlo col libro L’ospite più atteso. Vivere e rivivere le emozioni della maternità, che ho dedicato alle mie nipoti, grandi e piccole, ricordando loro che la maternità è un’opportunità, non un destino. Il mio è un tentativo di sensibilizzare madri e figli su un patrimonio che, se viene smarrito, impoverisce la nostra esperienza e ci rende, senza che ce ne rendiamo conto, soggetti passivi della nostra vita».
In alcuni paesi del nord Europa, dove i servizi e gli aiuti alle famiglie sono nettamente superiori che in Italia e dove, come già abbiamo accennato, nascono percentualmente più bambini, le percentuali di occupazione femminile sono tra le più alte in Europa, sicuramente più alte che in Italia. Ritiene che vi sia una relazione tra natalità, disponibilità di servizi per le famiglie e per le madri e sostegno della presenza femminile nel mondo del lavoro ? 
«E’ vero. Anche in Olanda si è visto che con l’aumento dell’occupazione femminile aumenta anche il tasso di natalità. E’ questione di sicurezza, di progettualità, di riuscire a pensare un futuro desiderabile. Talvolta siamo troppo in preda alle necessità, si vive solo nell’ordine del bisogno e delle urgenze individuali e immediate. Non ci dovrebbe essere ‘emergenza’ per un progetto a lunga scadenza. Bisognerebbe riuscire a pensare in un modo complessivo e proiettato nel tempo».
Non pensa che siamo lentamente arrivati a questo Disegno di Legge dopo un lungo cammino di mancanza di consapevolezza delle difficoltà di tenuta in equilibrio della famiglia e della mancanza di attenzione nei confronti del nostro capitale umano del futuro, cioè i nostri figli?
« E’ senza dubbio un Disegno di Legge di restaurazione. Che tenta di difendere disperatamente una concezione di famiglia ‘immobile’, in assoluto positiva e naturale, mentre non esiste niente di più innaturale del rapporto coniugale in quanto rapporto privo di consanguineità. Ogni famiglia è diversa e spesso ha dei rapporti che è difficile comprendere, con equilibri che vanno rispettati. E’ un grave errore quando si vuole dettare una normativa che riguardi la famiglia secondo un presupposto implicito di ‘famiglia naturale’, senza prudenza e sensibilità e senza attenzione alla molteplicità di tipologie familiari che hanno un loro equilibrio. Non si può entrare impunemente all’interno dei meccanismi regolativi di una famiglia omologando il suo funzionamento e volendo imporre regole precostituite. Io ho lavorato tanti anni con le famiglie e più volte ho constatato quanto siano diverse fra loro e quanto misterioso sia talvolta il motivo che le tiene insieme o che le divide. Ci sono affinità e discrepanze emotive molto difficili da comprendere e quindi ci vuole rispetto. Quello che è giusto fare è sostenere le famiglie, promuovere, incrementare e contenere, ma non regolare in forme prevaricanti. Una famiglia deve sapere di poter chiedere aiuto senza essere giudicata, dovrebbe poter ottenere una mediazione anche quando le difficoltà emergono nel corso della vita familiare, oltre che in fase di separazione. La mediazione comunque deve essere richiesta, non imposta. Si tratta di educare alla mediazione. All’estero c’è maggiore consapevolezza che si può chiedere aiuto, che è una cosa giusta e non deve essere considerato una sconfitta».
In un’intervista sulla rivista Left n.39, il professore Carlo Flamigni, medico e studioso di temi legati alla riproduzione, a proposito di un progetto al quale stanno lavorando in Giappone e in America ha affermato: ‘L’utero artificiale eliminerà la follia retorica secondo cui ci sarebbe una trasmissione di sentimenti tra madre e feto’. Cosa ne pensa di questa affermazione così forte? 
«In questo caso artificiale esprime una negazione, nega il corpo, nega il coinvolgimento corporeo, un’affettività che sappiamo ormai che esiste tra madre e feto. Ci sono dei rilievi degli elettroencefalogrammi che confermano che vi sia una sintonia. Non conosciamo i contenuti, certo, sappiamo che esiste e siamo sicuri che c’è una relazione. E’ un pensiero molto maschile questo tentativo di togliere alla donna la dimensione procreativa, esisteva anche nel pensiero antico . Mi vengono in mente le parole antiche di una tragedia: ‘o dei perché avete creato questo malanno che i figli nascono dalle donne, molto meglio sarebbe stato portare denaro al tempio’, una fantasia che viene da lontano e che si ripropone continuamente perché c’è un conflitto profondo in ordine al generare. Ne ho parlato nel libro Il bambino della notte. Proprio perché è un potere femminile, anzi una potenza vera e propria, questa sontuosa creatività materna, così evidente, così diffusa, così possibile, in realtà crea una rivalità maschile molto forte che si rivela in molte occasioni».
Professoressa, come è riuscita a conciliare la sua intensa attività professionale con la vita familiare?
« Devo dire che mio marito è stato molto paziente. Non particolarmente ‘materno’, ma molto paziente. La mia è stata una famiglia tradizionale, molto maschile, ma sono stata aiutata e ho potuto realizzare i miei progetti anche grazie all’aiuto di bravissime baby-sitter, considerato che non c’erano i nonni. La presenza dei nonni nella famiglia è molto importante. Quando ho scritto Nuovi nonni per nuovi nipoti ne ho parlato anche al Festival dell’economia di Trento. Oltre all’aspetto affettivo, i nonni sono importanti anche per l’economia del nostro paese, dal punto di vista organizzativo e finanziario. Spesso sono figure di riferimento fondamentale anche nei casi di crisi o di difficoltà coniugali. Quando si minacciano le pensioni non si pensa che possono essere un bene anche per le altre generazioni. Se la crisi economica in Italia non è stata così devastante per molte famiglie è anche grazie alla massiccia e decisiva presenza dei nonni. I miei figli, comunque, hanno accettato il fatto che io fossi fuori di casa spesso per motivi di lavoro anche se, in realtà, l’attività universitaria è piuttosto conciliabile con la vita familiare. Per me è stato prioritario dedicarmi ai miei figli, oltre che alla mia professione. Io ho avuto una mamma con pochissima disponibilità materna, pochissimo ascolto. Quindi questa esigenza, questa sofferenza infantile ha fatto sì che io fossi più attenta e più sensibile nei confronti dei bisogni dei bambini. Proprio perché non c’è altro che aver provato la mancanza per desiderare la pienezza. Questa è stata la mia sofferenza di bambina. La mia storia è contenuta nel libro Una bambina senza Stella . E’ la storia di una bambina di padre ebreo e madre cattolica, privata dei genitori che scappano in Africa per sfuggire alle leggi razziali, che conosce la madre a soli cinque anni. Sono tanti cinque anni per poter ristabilire un attaccamento e infatti ciò non è avvenuto. Per concludere, penso che ci vorrebbe una riflessione sulla complessità della famiglia, non solo sui conflitti. Se una famiglia si separa vuol dire che gli effetti negativi hanno prevalso su quelli positiv.i. Nel momento in cui prevalgono gli aspetti ostili la famiglia si disfa. Se l’amore prevale la famiglia rimane unita. Freud dice ‘l’odio divide l’amore unisce’. Ma tutto questo è un equilibrio difficile e instabile che va sostenuto, aiutato, non va da sé».

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