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Prove tecniche di tenuta delle famiglie

Francesca Balboni



In giornate di emergenza nazionale, con l’uscita di un decreto che stravolge la vita di ognuno di noi, forse siamo portati a ripensare a tante situazioni della nostra realtà quotidiana. Declinare l’argomento della conciliazione dei tempi familiari, in questi giorni, assume un significato diverso e forse ancor più importante perché ci coglie impreparati ad affrontare alcune situazioni e consuetudini della nostra vita.
Si sta assistendo a prove tecniche di tenuta delle famiglie e di capacità organizzativa domestica in una situazione di emergenza.
La convivenza e la gestione dei bambini a casa in questo periodo faranno riflettere molte persone sul valore del rapporto coi figli e sulla necessità di adottare misure anche per quando si uscirà da questo difficile periodo. Si spera, infatti, che la situazione contingente faccia riflettere sull’emergenza che da sempre vivono le famiglie, in particolare le madri, in situazioni abituali. Si capirà inoltre, finalmente, quanto sia importante digitalizzare un Paese. Capiremo tutti quanto sia fondamentale, per la vita quotidiana oltre che per le attività economiche pubbliche e private, avere la possibilità di connettersi a distanza e poter ricevere documenti e utili servizi tramite i sistemi di connessione. E così facendo comprenderemo quanto il tema della conciliazione dei tempi familiari e lavorativi delle donne e degli uomini sia profondamente legato alla questione della digitalizzazione del nostro Paese.
Nel frattempo la ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, ha comunicato che stanno lavorando per sbloccare 7,5 miliardi di euro da destinare alle famiglie. La misura potrebbe essere già attiva dalla metà della prossima settimana. L’implicito obiettivo è quello di non disincentivare il lavoro femminile, nessun lavoratore dovrà perdere il posto di lavoro a causa del Coronavirus. Una particolare attenzione sarà dedicata alle famiglie di chi è coinvolto nell’emergenza sanitaria come gli operatori del settore. Si darà presumibilmente la possibilità a uno dei due genitori di ottenere un congedo parentale e dei voucher o bonus per far fronte ai bisogni educativi. Il ministero del Lavoro, già da prima dell’emergenza sanitaria sembra stia lavorando a una modifica del congedo che preveda un maggiore coinvolgimento dei padri in caso di nascita di un figlio. Sacrosanta iniziativa, più che altro simbolica però, considerato che si ragiona sull’aumento di qualche settimana del congedo di maternità che verrà trasformato in parte anche in congedo di paternità. Congedo pari all’80% (un po’ meno di cinque mesi) per la madre e al 20% (un po’ più di un mese) per il padre.
Questo per far si che anche il padre si prenda carico del lavoro di cura «con l’idea che questo possa avere un effetto di riequilibrio sulle future carriere, e sui futuri stipendi, di uomini e donne»,scrive Lorenzo Salvia sul Corriere della Sera (Figli, la maternità diventerà di 6 mesi, un mese anche per il papà, 16 gennaio 2020). Nello stesso articolo del giornalista, Francesca Puglisi, sottosegretario al Lavoro per il Pd, sostiene che «se sono sempre le donne a dover conciliare lavoro e cura, non cambierà mai nulla. E invece bisogna passare dalle politiche di conciliazione a quelle di condivisione».
Giustissimo tutto. Però attivando le nostre capacità di lungimiranza deve insinuarsi un dubbio: pensiamo davvero che si possa risolvere il problema della conciliazione dei tempi familiari solamente con qualche giorno in più di congedo lavorativo e qualche misura di sostegno genitoriale nei primi tre anni di vita del bambino? E per tutto il percorso di crescita dei figli cosa facciamo? È giusto domandarsi se in tutti questi anni vi sia stata una riflessione un po’ più complessa sull’annosa questione della conciliazione lavoro/famiglia, argomento certamente non nuovo. Ci si chiede se nella fase di analisi del problema si penserà di valutare una volta per tutte la difficoltà del carico di lavoro di cura, che solitamente grava sulle madri, con una visione un po’ più ampia di quella che porta unicamente a definire, come svolta nella conciliazione, un piccolo aumento di congedo anche per il padre, iniziativa chiaramente positiva ma non sufficiente.
Gli esseri umani, diversamente dalla maggior parte degli altri esseri viventi, per rendersi autonomi hanno bisogno di un certo numero di anni. Indubbiamente molto di più dei sei mesi di congedo previsti. Si dovrà immaginare un sostegno che consideri tutto il percorso di crescita dei figli. Un’intera organizzazione del lavoro, ad esempio, che permetta ai genitori che lo desiderano di potersi occupare più facilmente dei loro figli. Lasciando la possibilità di scelta alle madri o ai padri delle modalità con cui organizzarsi.
Non sono sufficienti le attuali misure a sostegno della genitorialità. Basta vedere i dati sulle nascite in Italia. Insomma, si tratta di riflettere sul valore della vita, perché è proprio questo il tema. Significa dare un valore sociale alla nascita e quindi alle condizioni che ruotano attorno alla nascita. Al benessere di chi è coinvolto nell’evento che sta all’origine dell’uomo. Una società che non valorizza la nascita è una società destinata ad estinguersi.
Un patrimonio, quello della maternità, che se viene smarrito impoverisce la nostra esperienza di vita e ci rende, senza che ce ne rendiamo conto, soggetti passivi della nostra esistenza. E così anche la paternità, un patrimonio da ridefinire, alla luce dei cambiamenti sociali nei quali, con una modalità non proprio biunivoca, le donne fanno parte del mondo del lavoro come gli uomini quando gli uomini non sono allo stesso modo parte attiva esattamente come le donne nel lavoro di cura. Abbiamo realizzato che all’origine dell’essere umano c’è un bambino? Siamo veramente consapevoli che favorire le migliori condizioni del contesto nel quale nasce un uomo sia la base di tutto? Un bambino che nasce in una condizione di benessere è un bambino che avrà maggiori possibilità di essere un uomo portatore di benessere. Cosa intendiamo per benessere? Come vogliamo costruire le condizioni affinché un bambino nasca in una situazione di benessere? Quali elementi sono determinanti per cercare di creare benessere fin dalla nascita dell’essere umano? Abbiamo veramente realizzato che un bambino che nasce in un contesto malsano avrà maggiori difficoltà a diventare un uomo o una donna sani e portatori di benessere per la società? Vogliamo finalmente inserire nelle variabili di benessere anche il benessere familiare e farlo entrare a pieno titolo nel bilancio economico dello Stato?
Molti passi importanti sono stati fatti inserendo alcune variabili del benessere nel bilancio dello Stato ma ancora non abbiamo inserito la variabile del benessere familiare. Pensiamo davvero di avere capito cosa significa creare un contesto di supporto affinché la nascita di un essere umano sia desiderabile? Pensiamo veramente che, se non si favoriscono migliori condizioni per il benessere di una madre, possano nascere ancora bambini? Ma quali sono veramente le migliori condizioni perché una madre possa accogliere un così importante evento umano? In particolare al giorno d’oggi, come pensiamo di supportare le madri affinché desiderino veramente di assumersi un impegno così difficile seppure straordinario?
A questo punto è giusto chiedersi di cosa ha bisogno una madre. Nella maggior parte dei casi desidera avere soddisfazione nel lavoro ma non a costo di rinunciare a un figlio e alla sua cura. A questo proposito non penso sia un caso che siano proprio le madri a decidere di rischiare di trovarsi nelle condizioni di dover rinunciare a una progressione di carriera per amore dei figli. Sarebbe giusto che lo facessero anche i padri, ma ciò non avviene. È così, che lo si voglia ammettere o meno. Non è questione di essere migliori o peggiori, è una questione di priorità. Per la maggior parte delle madri di bambini la priorità è la loro presenza accanto ai figli. Questo non significa tuttavia che le madri rinuncino ad un impegno lavorativo a cuor leggero. Assolutamente no. Significa che ‘offrono loro stesse’ più facilmente dei padri all’immediata necessità del figlio/a, e spesso lo fanno pur sapendo di rischiare ripercussioni negative più o meno a lungo termine nel loro percorso lavorativo.
Una di queste ripercussioni può essere ad esempio il mancato avanzamento di carriera o il minore stipendio o addirittura la perdita del lavoro. E questo è profondamente ingiusto. Succede che nella maggior parte dei casi le madri in Italia, loro malgrado, hanno percorsi lavorativi complicati che le penalizzano come lavoratrici oppure come madri. Quando una donna diventa madre subisce spesso una sorta di abbandono sociale. Ciò significa innanzitutto una totale mancanza di riconoscimento del lavoro di cura, in secondo luogo una generale mancanza di rispetto delle necessità della donna che vede spesso stravolto il suo percorso di vita professionale. Mettere avanti a tutto le necessità del figlio bisognoso, invece di ricevere il plauso della società, riceve nella maggior parte dei casi un sottile e sottinteso scherno, se non addirittura una vera e propria emarginazione. In una società occidentale come la nostra dove si sta scoprendo quanto sia dannosa per l’economia la riduzione delle nascite, è sorprendente come non si faccia uno sforzo maggiore di quello fatto fino ad ora per comprendere le motivazioni profonde della scelta di non fare più figli. Tuttavia in alcune società occidentali si è capito qualcosa che ancora in Italia non si è realizzato bene, nonostante vi siano chiare evidenze.
In alcune realtà del nord Europa nascono più bambini in concomitanza di maggiori livelli di occupazione delle madri. Forse c’è una maggiore percezione dell’utilità sociale della crescita sana dei bambini. Così in questi paesi si adottano politiche di maggiore sostegno ai genitori con azioni specifiche che prevedono servizi di sostegno alle famiglie e alle madri in particolare. In quei paesi le donne sanno di non dover rinunciare ai loro progetti professionali a causa della nascita di un figlio. E così assecondano il loro desiderio di diventare madri. Ci si chiede come sia possibile che così poco sforzo venga fatto per capire quali strade percorrere in Italia per favorire la nascita e la buona crescita dei bambini.
Ad ogni bambino deve essere garantito lo stesso grado di benessere con relative azioni di cura che sono differenti a seconda dell’età e della specificità dei casi. E non si deve dimenticare che i bambini sono sia dei padri sia delle madri, pur agendo con differenti modalità di cura.
Quindi sarà giusto lasciare ai genitori la scelta di chi si occuperà del bambino in un frangente piuttosto che in un altro, dando un peso sociale e un ritorno economico alla scelta fatta. Con la consapevolezza che se un genitore si occupa di un bambino avrà la necessità di dedicargli del tempo, togliendo del tempo presumibilmente ad un impegno di tipo lavorativo o del tempo per se stessi. Il tempo dedicato ai figli deve diventare nell’immaginario collettivo un tempo considerato socialmente utile. E sarà giusto considerare delle forme di integrazione economica per chi dei due genitori dedica il suo tempo alle cure della famiglia. Continuiamo con le nostre domande.
Per generare politiche sociali si sono analizzati bene i dati? Quando si parla di congedo, ad esempio, a chi ci si rivolge, ai lavoratori dipendenti o anche agli autonomi? Quanti giovani potranno usufruire dei congedi considerato l’attuale mondo del lavoro, così precario e in fase di trasformazione? Non sarebbe utile che lo Stato favorisse la realizzazione di nuovi sistemi di offerta di servizi alle famiglie, immaginando di sfruttare la fantasia e l’intraprendenza ad esempio di chi progetta nel digitale?
Dunque, oltre alla realizzazione di servizi reali, incentivare nuove forme di digitalizzazione nella conciliazione dei tempi di lavoro e tempi familiari potrebbe essere la chiave di svolta. Consideriamo che i genitori di oggi già utilizzano quotidianamente svariati strumenti digitali che hanno reso la loro vita sicuramente più semplice. E qui entra a pieno titolo il tema del progresso e della sua omogeneità territoriale. La digitalizzazione infatti non è uguale in tutti i territori italiani. Si tratterebbe dunque di comprendere in che modo favorire l’uso di questi strumenti che già da tempo stanno trasformando il mondo dei servizi pubblici e privati. Pensiamo, ad esempio, quanto la digitalizzazione in ambito sanitario e scolastico abbia reso più accessibili tutti i servizi. Prenotazioni online, comunicazione medico famiglia con strumenti digitali di vario tipo, assistenza informativa e di prima necessità su appositi mezzi tecnologici.
C’è sicuramente un enorme margine di miglioramento e di fantasia organizzativa da sperimentare e soprattutto necessità di un benchmark per imparare da realtà virtuose (e virtuali) di altri paesi. C’è bisogno di portare i cittadini a conoscere gli strumenti digitali a disposizione per farne un uso utile per le loro necessità, valorizzando e incoraggiando iniziative innovative che favoriscano nuove modalità di gestione e organizzazione dei tempi di vita. Sono certa che questo periodo di emergenza sanitaria darà una spinta enorme alla digitalizzazione del nostro Paese.
Cominciamo inoltre a dare la possibilità di scelta ai genitori su chi dei due possa o voglia dedicare il proprio tempo al bambino, gratificando questa scelta, riconsegnando un rinnovato valore sociale al lavoro di genitore e premiandolo anche materialmente con una forma di sostegno economico e di integrazione in termini di peso curriculare. Esistono casi interessanti dove le abilità genitoriali vengono considerate alla pari delle esperienze che determinano l’acquisizione di capacità manageriali. Vengono gestite dunque come materia per accrescere professionalità.
Capacità organizzative, capacità intuitive, capacità relazionali e psicologiche, attitudine alla sopravvivenza in situazioni di assoluto disagio (pensiamo a tutti i soldi spesi dalle aziende per svolgere workshop per acquisire capacità di problem solving in situazioni di assoluto disagio. Quale migliore occasione riconoscere tali doti nel lavoro dei genitori!).
Insomma aiutiamo i genitori ad essere motivati nel difficile impegno che si assumono crescendo coloro che saranno il capitale umano del futuro, ultimamente purtroppo così raro. Favorire la crescita dei figli nel modo migliore possibile deve diventare un valore sociale perché riguarda tutti noi, con o senza figli.
Voglio dedicare questo articolo ai miei figli, ormai grandi, sperando che, quando sarà il momento, non abbiamo il timore di desiderare dei figli.
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