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Inserendo nel calcolo del PIL (Prodotto Interno Lordo) il traffico di sostanze stupefacenti, i servizi della prostituzione e il contrabbando (di sigarette o di alcol), la più importante misura che valuta la ricchezza di un paese dà una sterzata dopo averci fatto illudere che stava iniziando una nuova era.
Non il solo benessere ma anche il malessere diventa strumento di valutazione della nostra ricchezza. Ce lo comunica proprio il nostro Istituto di Statistica Italiano, apparentemente cambiando rotta, dopo avere intrapreso per lungo tempo lo studio di nuove variabili per analizzare il benessere della nostra società.
l’Istat informa che “…l’Eurostat ha fornito linee guida sulle metodologie di misurazione dell’impatto economico delle tre tipologie di attività ora considerate nel Pil” (vedi testo integrale scaricabile su http://www.istat.it/it/archivio/131097 ). Insomma, dopo tanti proclami sulla misurazione del benessere della nostra vita, dando inizio ad un filone di ricerca tra i più entusiasmanti dell’ultimo periodo grazie anche alla sollecitazione internazionale di illustri economisti come Josef Stiglitz, J. Paul Fitoussi e Amarthia Sen  che hanno combattuto una vera e propria battaglia affinchè si desse un peso alla valutazione del grado di salute fisica e psichica delle persone, vengono introdotte nella stima del PIL un set di variabili che pesano in realtà il disagio di una società.
Anche Enrico Giovannini, economista e statistico, ex responsabile statistico OCSE ex presidente Istat ed ex ministro del lavoro, sottolinea come la valutazione del PIL, con le nuove misurazioni Sec 2010, diventi più aderente ai rilevamenti internazionali anche se si allontana dalla misura del benessere che lui stesso aveva promosso anni addietro .
Il PIL, si era detto un po’ di anni fa, in quanto misura esclusivamente quantitativa della produzione realizzata dal sistema economico, non sembrava offrire una visione complessiva del progresso di una società e quindi si era deciso di guardare oltre.
Inutile dire che la notizia di questa nuova modalità nella definizione della ricchezza è risultata sorprendente per molti, soprattutto per chi ha seguito con passione i cambiamenti che negli ultimi anni hanno riguardato l’analisi delle variabili per giudicare il benessere delle persone.
L’illegalità è senza alcun dubbio un costo per la società. Una mancata ricchezza, in altre parole. Nel senso che se non esistesse il sommerso, la corruzione, lo spaccio e così via, uno Stato sarebbe certamente più ricco. Ci sarebbero più aziende sane e un sistema virtuoso e in buona salute di produzione del reddito.È lo stesso Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco a dire, in occasione dello Strategic Forum 2014, che in Italia la corruzione, le attività criminali e l’evasione fiscale non solo minano la comunità ma distorcono anche il comportamento degli agenti economici e il mercato dei prezzi, riducono l’efficacia delle azioni di governo e aumentano la pressione fiscale su coloro che fanno il loro dovere; inoltre limitano gli investimenti produttivi e la creazione di posti di lavoro.
Cosa dobbiamo pensare adesso? Nelle nostre ricerche in che modo dovremo valutare la qualità della vita di una città, di una regione, di uno Stato? Dovremo considerare elementi quantitativi di ricchezza nuda e cruda e addirittura illegale oppure potremo continuare a dare rilievo alla misura del grado di salute psicofisica delle persone e al rispetto delle norme basilari di società civile?
Ancor più sconcertante è il tono adottato in molti servizi giornalistici che non solo non trasmette nessuna emotività, ma sembra quasi strizzare l’occhio a chi adotta comportamenti illegali.
Da ora in avanti chi consuma sostanze stupefacenti più o meno leggere  – i dati parlano di un consumo considerevole in tal senso da parte dei giovani italiani – o chi si prostituisce dovrà pensare di partecipare in qualche misura alla creazione di ricchezza nel nostro paese?
Anche se l’adeguamento statistico alle modalità di calcolo internazionali sono forse inevitabili, si spera che in futuro la notizia venga almeno trattata in modo tale da non dare la sensazione che l’illegalità sia una normale variabile della ricchezza.  
Nel rispetto di chi faticosamente cerca di trasmettere ai propri figli le dimensioni di una vita ispirata ai principi basilari dell’etica voglio sperare che, nel dare la notizia dell’inclusione delle attività illegali nella stima dei conti nazionali che compongono il PIL, si rispetti il buon senso e si faccia davvero informazione comunicando che la stima deve tenere conto anche di queste variabili per darne una valutazione oggettiva, anche nell’ottica di individuare almeno parte dell’economia sommersa alfine di poterla combattere.
 



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